E se capitasse a me? Leggendo il dossier "La città proibita"

adozione a distanza






Oggi è una di quelle giornate in cui ho bisogno di farmi del bene.
E farmi del bene, per me, significa anche aprire il mio cuore al mondo, in tutta la sua complessità, a volte nella sua crudeltà.

Oggi ho aperto il mio cuore a dei volti di donna, quelli fotografati e raccontati dal toccante dossier La città proibitadi Actionaid. 
Si tratta di uno studio sulla violenza contro le donne che vivono nelle città. 
Ed infatti, sono proprio gli spazi pubblici di innumerevoli città del mondo, i luoghi in cui si consumano, nell’indifferenza della comunità, le più svariate forme di abuso fisico, sessuale, psicologico ed economico a carico delle donne.
Per Tikdem (36 anni, Etiopia), Cleonice (36 anni, Brasile), Debaki (22 anni, Nepal) Bopha (24 anni, Cambogia), Furah (10 anni, Kenya) e tante altre concittadine, può essere una minaccia alla loro incolumità anche soltanto l’atto di prendere il bus per andare al lavoro.

Storia dopo storia, ho avuto la spiacevole riconferma che quelli che per molte donne sono diritti, in altre parti del mondo sono privilegi.

Noi donne che viviamo nelle città dei paesi cosiddetti occidentali vantiamo diritti riconosciuti da tempo dalla legge: diritto alla sicurezza, diritto di studiare e di lavorare
Questi diritti sono una componente essenziale della nostra felicità, ereditati da tante donne che hanno vinto battaglie civili per ottenerne il riconoscimento.

E’ vero, spesso è difficile anche per noi esercitare i nostri diritti: la cronaca, anche in Italia, è piena di femminicidi, discriminazioni più o meno manifeste nel luogo di lavoro, mancanza di mezzi di sostentamento.
Ma quantomeno cresciamo con la consapevolezza che siamo titolari di questi diritti e che, in caso di difficoltà, potremo rivolgerci a qualcuno che ci sostenga: famiglia, amici, associazioni, avvocati, istituzioni.

Il livello minimo di istruzione garantito a tutti, alimenta la nostra autocoscienza.

Quel che mi ha più colpito, leggendo il dossier, è proprio quest’aspetto del fenomeno "violenza sulle donne": le donne dei Paesi interessati da queste storie di emarginazione non sono consapevoli dei loro diritti, del loro valore. 
Per sopravvivere, accettano i soprusi, si adeguano alle violenze, si autoemarginano in una spirale di violenza che parte dalla concezione che le donne sono esseri inferiori.

Non so dirvi qual è la storia che più mi ha scossa. 

Ho provato a calarmi nei panni di queste donne: e se fosse capitato a me - o alla mia bambina o a mia madre - di vivere in una città in cui rischio di essere molestata/stuprata ogni volta che prendo un  mezzo di trasporto pubblico o percorro una piazza? E se gli uomini con cui lavoro o il mio stesso padre o il marito, mi trattassero continuamente come un essere inferiore? E se non avessi avuto l’opportunità di studiare o di lavorare? E se mi buttassero fuori di casa e fossi costretta a vivere per strada?

Lo smarrimento interiore generato da queste domande, può avere una risposta.
La trovo nelle parole di una poetessa, riportate nel dossier di Actionad: “Il fatto più notevole che la nostra cultura imprime nelle donne è il senso dei loro limiti. La cosa più importante che una donna può fare per un’altra è illuminare ed espandere la percezione delle sue reali possibilità”. (Adrienne Rich, poetessa e filosofa femminista statunitense, 1929-2012).
È fondamentale che tale consapevolezza nasca fin dalla prima infanzia, come è accaduto a me e a tante altre donne che hanno avuto l’opportunità di studiare ed ereditare i successi di tante battaglie civili.

Cosa posso fare concretamente con le mie mani? Fra gli altri impegni, potrei sostenere ONLUS come Actionaid, ad esempio mediante le adozioni a distanza che sostengono progetti in favore della comunità di appartenenza dei bambini adottati e permettono alle famiglie adottive di ricevere notizie periodiche.

Io e mio marito ci stiamo pensando seriamente. Nelle FAQ del sito, si spiega che è possibile anche scrivere al bimbo adottato e ricevere sue foto e disegni. Sarebbe bello coinvolgere in questo progetto anche i nostri bambini.

Che ne pensate? Vi ha colpito il dossier? Avete esperienza di “adozioni a distanza”?


Ketty
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2 commenti

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4 giugno 2015 alle ore 09:25 ×

La citazione è bellissima e dà un senso al percorso che dovremmo cercare di intraprendere noi donne più fortunate per fare concretamente qualcosa per cambiare le condizioni che portano a una realtà così cruda e dolorosa.
Il sostegno alle associazioni che lavorano nei paesi dove tanta violenza è così diffusa è un gesto bello e utile.
Qui da noi possiamo e dobbiamo lavorare sull'educazione dei più giovani, perché il rispetto per l'altro e per le donne diventi naturale.
Un abbraccio e grazie per questo post

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5 giugno 2015 alle ore 07:45 ×

Grazie a te per la tua sensibilità, cara.
Smack.
Ketty

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